L’analisi di Stefania Tucci: Cina, forte apertura marittima e timida apertura valutaria
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Stefania Tucci già in passato su queste pagine si è occupata del tema della politica economica della Cina con particolare riferimento al presidente Xi Jiping. L’autrice si sofferma sui recenti cambiamenti nella politica marittima cinese, ritornando ad essere una potenza anche marinara.
Nel passato, all’epoca d’oro della dinastia Ming, l’Impero di Mezzo allestì ben sette viaggi transoceanici affidato al comando dell’Ammiraglio Zengh He che, alla testa di una flotta di centinaia di giunche e migliaia di uomini, raggiunse le coste dell’Africa orientale diffondendo lo splendore della Corte Celeste tra i tanti popoli incontrati. Iniziarono commerci locali di cui beneficiarono molte popolazioni lungo le rotte, tra gli approdi del Mar Cinese Meridionale e l’Oceano Indiano.
Un po’ di anni fa, Gavin Menzies, scrittore e storico, forte della sua esperienza di Contrammiraglio della Royal Navy, ha avanzato un’ipotesi che fossero stati i Cinesi ad arrivare nel 1421 sulle coste di Terranova e quindi a “scoprire” l’America più di 70 anni prima di Cristoforo Colombo. Quando morì l’Imperatore Yongle il suo successore, però, decise di porre fine alle costose spedizioni navali, che non rendevano in termini economici e non erano apprezzate in termini di “prestigio” in quanto, secondo la filosofia confuciana, nulla poteva essere trovato all’esterno del Grande Impero, essendo la civiltà cinese la più avanzata e raffinata sotto la volta celeste.
Stefania Tucci osserva come negli ultimi anni la Cina, complice anche il ritrovato status di potenza mondiale, è tornata ad investire nel mare. Infatti ha potenziato la sua marina militare e commerciale, dotandosi anche di ben quattro portaerei, di cui una con motori e propulsione nucleare. Ha costruito anche due basi navali militari all’estero, sia a Gibuti che a Vanuato, la prima dettata dalla volontà di partecipare, insieme alle altre potenze internazionali, alla lotta alla pirateria che infesta le importanti rotte commerciali del Corno d’Africa, e la seconda come avamposto nell’oceano Pacifico sponda asiatica dell’America Meridionale, dove la Cina ha tanti investimenti commerciali.
Oltre che sotto il profilo militare, la Cina ha anche investito in molti porti commerciali dando vita a quella che è chiamata la “collana di perle”, e cioè una serie di approdi per la sua flotta marittima che vanno dal Myanmar al Pakistan, dall’Africa orientale fino a Mediterraneo, dove è presente nel porto greco del Pireo.
Inoltre il programma di infrastrutture One Road One Belt prevede anche una Silk Road marittima, con accordi con tutti gli Stati dell’Asia che si affacciano sull’Oceano Indiano, oltre che con quelli del Medio Oriente, dell’Africa e del Mediterraneo, in modo da supportare con gli investimenti una rete di collegamenti marittimi, che assommata a quella dei cavi sottomarini, fa della Cina una potenza mondiale globale, che ricorda molto l’Impero Britannico all’epoca del suo massimo splendore.
Questa politica marittima è sono accompagnata anche da una diversa attitudine del Governo di Pechino nei confronti della propria valuta, lo yuan. Complice anche l’imposizione delle sanzioni da parte degli Stati Uniti nei confronti di alcuni paesi produttori ed esportatori di petrolio e gas naturale, beni di cui l’economia cinese è molto affamata, gli scambi relativi a queste materie prime tra la Russia, l’Iran e la Cina cominciano ad essere effettuati in renminbi e non più in dollari, creando di fatto un mercato internazionale del petro – yuan, che possono essere usati per acquisire beni e servizi di produzione cinese. Ben presto anche Kazakistan, India, Indonesia e altri paesi hanno cominciato a commerciare petrolio e gas in yuan e, anche, a detenere in questa valuta una parte delle proprie riserve monetarie.
E’ un altro passo verso la convertibilità della valuta? Dopo i Dim Sum bond (obbligazioni emesse in yuan per gli investitori internazionali quotate ad Hong Kong), le linee di currency swap tra la piazza finanziaria di Hong Kong e la City di Londra, gli operatori valutari stanno assistendo, almeno da due anni e cioè dal 2016, a scarsi interventi della Banca Centrale Cinese (PBoC) per mantenere il cambio della valuta ancorato a dollaro americano, lasciando invece la determinazione dello stesso alle sole forze di mercato.
Questo nuovo corso ha comportato una piccola svalutazione dello yuan rispetto alla valuta statunitense e il suo sganciamento dall’andamento delle altre valute dei paesi emergenti. Svalutazione ben vista anche per motivi commerciali.
A parere di chi Stefania Tucci, non siamo ancora vicini ad una piena convertibilità dello yuan, ma i passi che il governo di Beijing compie sembrano andare tutti in quella direzione.
La geopolitica si è sempre coniugata alla geoeconomia e la valuta come la flotta sono due strumenti che sono storicamente andati a braccetto, come insegnano i casi dell’Impero Britannico con la sterlina e gli Stati Uniti con il dollaro.
Stefania Tucci segue progetti di investimento sia nel settore finanziario che in quello immobiliare ed è autrice del libro “L’Asia ai miei occhi”, reportage con gli occhi di un osservatore geo politico di 25 anni di viaggi in Asia.